Macchine in coda per fare il pieno di metano. Ma non siamo in una stazione di servizio, bensì in un’azienda da latte, la prima ad avere al suo esterno una stazione di rifornimento con due erogatori di biometano. Tutto prodotto in azienda. Da circa un mese l’azienda Bosco Gerolo di Rivergaro, in provincia di Piacenza ha dimostrato che il pieno in fattoria non è più solo un’ipotesi.
Di particolare questo distributore di metano non ha solo il prezzo, decisamente basso dati i tempi: a fronte di un prezzo medio sui 2 euro/mc, qui l’automobilista se la cava con 1,19 euro/mc. Facile capire perché ci sia la coda. Ma l’unicità di questa stazione di servizio non è solo il prezzo.
È la prima stazione di rifornimento di biometano prodotto interamente in un’azienda zootecnica: digestore anaerobico, impianto di upgrading, sistema di stoccaggio, due erogatori in modalità self. L’apertura poco meno di un mese fa e ora, con il dato sul prezzo che corre di App in App, oltre che con il passa parola, ci sono macchine a tutte le ore del giorno e pure della notte, pazientemente in attesa del proprio turno. Davvero un successo al di là delle più rosee aspettative, spiegano qui.
Certo, la situazione contingente ha aiutato: con il prezzo del gas andato alle stelle per gli eventi bellici in corso, un prezzo come questo è un richiamo formidabile per gli automobilisti. La richiesta è talmente elevata che il serbatoio di stoccaggio collegato ai due erogatori, costituito da una serie di bombole in alta e media pressione, è per molte ore al minimo, non riuscendo a ricaricarsi con il gas che arriva in continuo dalla stazione di uprading.
Questo ha come conseguenza un rallentamento nelle operazioni di erogazione, perché gli erogatori ricevono il biometano praticamente dalla linea di produzione, con una minore pressione, e quindi con tempi di carico dei serbatoi delle auto che si allungano. Certo, prima di partire le preoccupazioni erano opposte, legate alla risposta degli automobilisti su cui non vi erano certezze. Mai si sarebbe immaginato che le cose sarebbero andate, addirittura, “troppo” bene, da costringere a questi rallentamenti nel rifornimento.
Tanti tasselli aggiuntisi nel tempo
Siamo a Rivergaro, in provincia di Piacenza, nell’Azienda Bosco Gerolo Valtrebbia. Un’azienda che definire modello è probabilmente riduttivo. Qui si è realizzato un esempio straordinario di quella molteplicità di sbocchi che un azienda zootecnica può avere gestendo in maniera illuminata la sue risorse. Certo, serve un visione chiara del modello di sviluppo da seguire e la capacità di vedere in anticipo tendenze che diverranno la normalità negli anni a venire. E su questo investire in proprio e con l’aiuto del PSR.
Qui tutto parte e tutto – ancora oggi – ruota attorno alla stalla di vacche da latte. Ci sono poco più di 600 capi complessivamente, con circa 230 vacche in mungitura, robotizzata da alcuni anni con quattro Astronaut Lely.
L’azienda è dotata di un caseificio proprio. Ma non si fa Grana Padano, anche se siano in una delle aree più rappresentative di questo formaggio. La scelta è andata verso formaggi freschi o freschissimi. Per varie ragioni: una gamma di prodotti ampia, giro di cassa più veloce, possibilità di lavorare con più elasticità, senza i condizionamenti di un disciplinare, cosa che si è vista ad esempio quando si è trattato di inserire i robot di mungitura.
I prodotti a marchio Bosco Gerolo hanno una diffusione che va dalla Liguria alla bassa Lombardia, con contratti in essere anche con tutte le principali catene della grande distribuzione. Un canale di vendita importante è anche quello diretto, con i distributori automatici di tutta la gamma di produzione, compreso latte fresco, imbottigliato: ce ne sono una ventina distribuiti in vari comuni della provincia.
La marcia verso la diversificazione aziendale è proseguita con l’aggiunta dell’agriturismo, con annesse camere, organizzato come un vero e proprio albergo in fattoria: spazi relax, piscina, campo da calcetto, beach volley, campo bocce, ma anche inserimento completo nelle dinamiche e nelle quotidianità di una grande stalla moderna di vacche da latte.
C’è anche un agriasilo. Una scuola materna privata, per bambini da 3 a 5 anni, con insegnanti assunte ad hoc. La sua particolarità? Inserire nella formazione dei bambini tanto tempo all’aria aperta, percorsi di conoscenza dell’ambiente agricolo, degli animali, della filiera di produzione degli alimenti.
Biogas, elettricità e ora biometano
In un’azienda come questa l’argomento delle bioenergie è sempre stato tenuto nella massima considerazione, come fatto etico e anche come opportunità di ottimizzazione delle risorse a disposizione. Si è cominciato con un primo digestore, con un impianto biogas per produzione di energia elettrica in autoconsumo, alimentato con le deiezioni della stalla e il siero del caseificio.
Circa quattro anni fa è iniziato l’iter per l’impianto di biometano per autotrazione, che si è concluso in queste settimane. È stato installato un secondo digestore, il sistema di upgrading del gas, la stazione di stoccaggio e i due erogatori self service per il rifornimento delle automobili. Questo secondo digestore è alimentato con deiezioni, paglia, stocchi di mais e triticale di secondo raccolto.
Se prima per le necessità energetiche dell’azienda nel suo complesso bastava il primo impianto biogas, ora, in considerazione anche delle esigenze energetiche non indifferenti del sistema di upgrading del biometano prodotto, non è più sufficiente. Ragione per cui si sta ragionando di rimodulare certe attività (in particolare quelle nel caseificio) per evitare picchi di richiesta energetica in certe fasi della giornata. I mezzi dell’azienda agricola sono stati convertiti a metano, compreso il carro unifeed semovente e il telescopico che lavorano nella stalla.
L’impianto è autorizzato per una produzione oraria di 86 mc di biometano. Dato che un digestore è una macchina biologica, che non si può accendere e spegnere a piacimento, è stata considerata anche l’eventualità malaugurata che possano esserci altri lockdown in futuro. Un esercizio di realismo, perché se il gas è prodotto continuamente, ma di macchine non ne circolano (e quindi nessuno viene a fare il pieno) si pone il grosso problema di cosa farne del gas prodotto. Ecco perché l’impianto è stato realizzato in maniera tale da poter abbassare la produzione oraria di metano, riducendo l’alimentazione del digestore, fino al quantitativo minimo costituito dal consumo quotidiano del mezzi che lavorano in azienda.
Non è semplice, non è facile, ma è possibile
Certo è ancora presto dal poter trarre conclusioni, visto che siamo di fronte a un’esperienza appena iniziata, ma già qualche considerazione è possibile farla. La prima: quello che anni fa sembrava un progetto avveniristico si è dimostrato possibile. Le macchine che fanno rifornimento di biometano a pochi metri dai recinti delle vacche sono lì a dimostrarlo. Certo, avere una strada importante di passaggio su cui si affaccia l’azienda è indispensabile. Se si è in un’area isolata meglio puntare ad altro. Immissione nella rete, ma solo se si ha la fortuna di avere un gasdotto vicino che può accogliere il metano prodotto. Oppure il carro bombolaio.
Altra considerazione: i costi ci sono e sono importanti. Tuttavia, con questi prezzi del metano, anche vendendolo a un prezzo più ridotto rispetto al resto dei distributori sulla rete stradale, si viaggia con una certa tranquillità (sommando al prezzo di vendita i contributi pubblici che arriveranno a completamento dell’iter burocratico). I conti, al momento di ragionare sul business plan, qui erano stati fatti con un prezzo di vendita poco sotto 1 euro. A monte, l’impianto di produzione del biometano ha necessità energetiche per il suo funzionamento importanti che vanno considerate e, a valle, meglio considerare l’ipotesi self per gli erogatori per evitare il costo dell’addetto al rifornimento.
C’è poi – ultimo ma non ultimo – il percorso burocratico, fatto di domande, certificazioni, autorizzazioni. Un impegno di anni, che richiede motivazione, tenacia, capacità di adattamento del progetto a nuove evenienze, consulenti di valore con cui rapportarsi. Insomma, non è facile, però è possibile. Con una postilla finale, che coinvolge l’accettabilità dell’allevamento e la necessità che esso trovi vie di presentazione e di comunicazione di sé stesso all’esterno in forma nuova. Cosa c’è di meglio per fare un passo avanti in questo senso di decine e decine di automobilisti che quotidianamente entrano in contatto con un’azienda agrozootecnica e scoprono che questa può essere una realtà virtuosa per l’ambiente e anche capace di fare risparmiare sul pieno di carburante?